CULTURA & SPETTACOLO
La 'Grave degli Appestati”': la storia e la leggenda
Il racconto dell’esplorazione della Grave del biologo ambientale Massimo Moscato. La leggenda si confonde con la storia a Masseria Casaburo
Fasano - La leggenda la precede e la avvolge nel mistero. Stiamo parlando della “Grave degli Appestati”. Siamo nel territorio fasanese, in contrada Gravinella, a pochi chilometri dall'abitato; proprio qui si nasconde una grotta che pochi conoscono.
Un mondo sotterraneo segreto celato dalla sconfinata piana degli ulivi secolari e protetta da una elegante e antichissima Masseria che ne fa da sentinella, ossia Masseria Casaburo, un avamposto panoramico dove lo sguardo spazia dalla linea di orizzonte sull'Adriatico fino a perdersi nei boschi che la circondano e che si inerpicano su fino alla Selva di Fasano.
In qualità di biologo ambientale, guida escursionistica Pugliavventura ed esploratore per passione, devo comprendere maggiormente questo luogo. Specifico che la “Grave degli Appestati” non è accessibile, si ritrova all'interno della masseria Casaburo e il suo ingresso è protetto da una botola che evita cadute accidentali. Grazie alla disponibilità di Donato “Dodi” Mancini, abbiamo avuto la possibilità di esplorare la Grave. Giuseppe Vinci mi ha accompagnato in questa esperienza in cui abbiamo cercato di far luce su una profonda voragine che rappresenta un racconto dimenticato.
Si tratta di scoprire il perché a questa Grave venne dato il nome di “Grave degli Appestati”. Da un rapido controllo delle fonti si comprende che nel 1656 e nel biennio 1690-91 il territorio di Fasano su colpito da una pestilenza, probabilmente proveniente dalla zona di Napoli e dintorni. Racconti orali riportano che il nome della Grave ricorda proprio gli eventi del 1600, quando appunto venne scelta come luogo in cui “gettare” i corpi degli appestati. Infatti, si racconta che di notte si evitava di passare vicino a tale luogo perché si sentivano echeggiare i lamenti e le urla dei malati, presumibilmente venivano abbandonati nella Grave ancora in vita o in stato di semi incoscienza.
A conferma di questo è un passo del testo “Selva d'oro” scritto dal contemporaneo sacerdote monopolitano Leonardo Chirullo: «Ai piedi del Monte Laureto v'ha un largo spazio sulla campagna che volgarmente chiamano Casaburo. Quel luogo prende il nome da chi - ab antico - lo possedette, la famiglia Casaburo, proprietà passata poi senza titolo alle Monache. Ivi si aprono nel suolo tre grandi bocche, che mettono in una profondissima cava, la quale si protrae senza termine verso sud, vi si vede una linea di muro alzata a sostenere quasi la gran volta, che, oscura e piena di larghi crepacci pare voglia crollare ad ogni momento. È uniforme la tradizione di essere stata quella cava sepoltura ai nostri appestati».
Prima di cominciare la discesa negli inferi, ascoltiamo rapiti le informazioni dell'anfitrione di casa, Dodi, che da buon appassionato di speleologia, aveva mappato e descritto questa caverna già nel 1965, quando con il suo gruppo di prodi amici scout decisero di intraprendere la conquista dell'abisso con mezzi di fortuna e tanta determinazione. Erano i ragazzi della pattuglia Aquila del primo reparto CNGEI (Corpo Nazionale Giovani Esploratori) di Bari. Oggi, a distanza di 56 anni, con il supporto di attrezzature tecniche e materiali di progressione specifica, siamo ridiscesi nella Grave per rinverdire emozioni e sensazioni assopite nel tempo.
La nostra missione è anche verificare la storicità dei fatti oppure si tratta di una leggenda. Ci prepariamo alla discesa: dispieghiamo le corde, prepariamo l'attrezzatura, allacciamo i caschetti e siamo pronti.
La discesa in corda non presenta particolari difficoltà e l'immersione nel pozzo, che ha una profondità di circa 10 metri, è una pratica che si disbriga in fretta. Atterriamo su un gigantesco cono detritico instabile ma percorribile. Ci aspettavamo di trovare resti di ossa, ma lo stupore derivato dalla visione di questo magnifico antro sotterraneo fa passare la leggenda in secondo piano. La voglia di esplorare ogni anfratto e cunicolo è tanta e quindi siamo partiti a percorrere i meandri.
Ci inoltriamo quindi nei due gradi “saloni” che si protraggono per circa 90 metri verso sud. I frammenti degli scheletri non ci risultano visibili. Ad ogni modo c'è da dire che ci sono state altre esplorazioni negli ultimi anni e non sono stati rinvenuti i resti degli “appestati”. Ciò non significa che la storia non sia vera, ma al contrario probabilmente le ossa sono sepolte sotto al cono detritico fatto di pietrame scaricato all'interno della cavità all'epoca in cui furono spietrati i campi limitrofi. La sensazione di pace e quiete in questa profonda grotta è piacevolissima, il tempo vola via veloce. La fatica è compensata dall'amore per l'avventura. Questa grotta è un riassunto completo del fenomeno del “carsismo” che si verifica dove vi è una massiccia presenza di rocce calcaree. La contemplazione della caverna può durare a lungo, ma ci rendiamo conto che è giunto il momento di tornare in superficie, risalire il pozzo e riguadagnare la luce.
La missione esplorativa si è conclusa, ma solo per il momento. Infatti, abbiamo il sospetto che parecchie diramazioni sono tutte da esplorare meglio, numerosi magnifici cunicoli ricchi di stalattiti e stalagmiti ci attendono. Per dovere di cronaca: dopo attenta ricerca ho scoperto che il caso della “Grotta degli Appestati” non è unico, almeno in Puglia. Alla stessa sorte furono destinate anche la ‘cisterna' della Madonna dell'Altomare (Andria) e la Grotta presso la Cappella di San Gusmano (Conversano).
Quest'ultima, secondo Sante Simone, architetto di Conversano vissuto tra il 1823 e il 1894, fu «riempita dai cadaveri degli appestati; una parte della quale (grotta) fu messa allo scoperto dalla trincea praticata colà nella costruzione della strada Conversano–Polignano a Mare. Nessuno prese cura a ricoprirla, permettendo che i ragazzi andassero a baloccarsi con gli stinchi ed i crani di quei poveri martiri». Dopo aver riguadagnato la luce e aver chiuso il pozzo di accesso, siamo tornati alla vicina masseria Casaburo e abbiamo contemplato ciò che rende unico questo luogo: i 27 ettari di ulivi, la rigogliosa macchia mediterranea dove rimbomba il suono del vento, il cinguettio degli uccelli, l'abbaio di cagnolini, i ragli degli asini. Un'oasi di pace e tranquillità.
Quest'oggi la “Grave” è stata svelata e la leggenda si è fusa con la Storia. E cos'è la storia, dopo tutto? Come disse Jean Cocteau: la storia sono fatti che finiscono col diventare leggenda; le leggende sono bugie che finiscono col diventare storia. Massimo Moscato
di Redazione
02/05/2021 alle 07:49:22
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